La capacità di recepire le quantità “uno, due, pochi, molti” è innata nell’uomo e comune anche a certi animali
Quando si è sviluppata la necessità di contare in maniera più ampia e precisa e di tenerne una traccia scritta e sistematica? E le cifre che utilizziamo oggi, da dove derivano?
Grazie agli impulsi derivanti dalla nascita delle civiltà urbane (in Mesopotamia, Cina, Valle dell’Indo) si svilupparono diversi sistemi di conteggio che poi ebbero differenti sviluppi all’interno delle civiltà egizia, greca e romana.
Il sistema decimale posizionale che abbiamo in uso oggi, tuttavia, deriva dalle culture araba e indiana.
In India, dal IV secolo a.C. erano in uso sulle monete dei simboli unici per ogni cifra da 1 a 9 e successivamente venne introdotto un sistema simile di notazione posizionale.
Nell’VIII secolo d.C. a Baghdad (che era uno dei centri culturali del mondo) operò Mohammed ibn-Musa al-Khuwarizmi, matematico e geografo persiano, che scrisse un’opera di algebra tradotta in latino come De numero Indorum, in cui veniva spiegato il funzionamento del sistema numerico indiano.
Fu il funzionario Leonardo Pisano, più noto come Fibonacci, a portare queste cifre in Italia.
Dopo essere entrato in contatto con la numerazione indo-araba grazie ai viaggi verso est, nel 1202 d.C. ultimò la sua opera Liber Abaci, in cui descriveva le cifre usate da queste popolazioni, insieme anche allo 0.
In Europa permasero a lungo i sistemi di numerazione greca e romana e il passaggio alle cifre arabo-indiane fu molto graduale, ma la nuova numerazione si impose nel XVI secolo.