Padre Placido Cortese fu prelevato con l’inganno e fatto sparire nel novembre del 1944; da allora non se ne seppe più nulla
fino al 1995, quando, durante una testimonianza, una donna sopravvissuta racconta di averlo visto nella sede triestina della Gestapo (in cui anche lei era detenuta), portando così alla luce l’epilogo della vicenda di questo giovane sacerdote del Santo, morto dopo le torture subite.
A ottant’anni dalla scomparsa è stata allestita presso la basilica di Sant’Antonio la mostra “Nel mio cuore come una ferita”, visitabile fino al 15 gennaio, che ricorda l’operato di padre Placido Cortese e rivela una parte di storia non molto conosciuta agli stessi padovani: il campo di concentramento di Chiesanuova.
Dal 1937 al 1943 padre Placido si prese cura dei deportati sloveni e croati rinchiusi nei campi di detenzione italiani, in particolare quello di Chiesanuova, dando conforto agli internati (che pativano fame, freddo, malattie…) anche fornendo loro cibo, vestiario, medicinali, messaggi delle famiglie lontane.
Dopo l’8 settembre 1943 Padova era occupata dai tedeschi; c’era un clima di tensione e pericolo, persone che fuggivano o si nascondevano, confusione. In questo contesto padre Placido, assieme ad altri giovani collaboratori, aveva aiutato ebrei, soldati italiani senza più punti di riferimento, oppositori politici e quanti erano perseguitati a non finire nei campi di concentramento e di sterminio. Venivano forniti documenti e organizzati, con una serie di pericolosi passaggi, gli spostamenti fino a Como e poi alla Svizzera, verso la salvezza.
Per le sue opere e per la tortura e la morte affrontate con eccezionale coraggio (senza mai rivelare i nomi degli altri collaboratori), nel 2018 padre Cortese è stato insignito dal Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella della “Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria” e nel 2021 è stato dichiarato Venerabile da Papa Francesco in ragione delle sue “virtù eroiche”.